domenica 23 febbraio 2014

Il risveglio di Ponzano, ovvero del nuovo inizio della Benetton

qs post riproduce l'articolo comparso oggi
su monitor, il settimanale di veneziepost


Bene, ormai è certo. La Benetton, dopo aver perso ricavi, profitti e smalto, e dopo aver tergiversato sul come uscire da una crisi strutturale (la sua, non quella mondiale), ha finalmente deciso di percorrere la strada della riorganizzazione e di focalizzarsi sul cor business, il che nel caso specifico significa dismettere i marchi minori e concentrarsi su quelli storici di United Colors of Benetton e Sisley. È questo il mandato che sarà affidato al nuovo a.d., che rumors insistenti – seppure smentiti da Ponzano – indicano nel tedesco Bruno Salzer, già uomo forte di Hugo Boss nell’era Marzotto: un manager che ha dato buona prova nel rilancio di aziende dal profilo appannato, e la cui solida esperienza nel settore dell’abbigliamento ben si integrerebbe in una organizzazione che ha sempre visto l’azionista maggioritario opportunamente defilato rispetto alla gestione concreta del business.
 
Indipendentemente da chi affiancherà Alessandro Benetton nel restyling di Ponzano, può essere utile soffermarci su alcune caratteristiche di quella che è stata indubbiamente la prima azienda “globale” del nostro paese, o almeno la prima che su un mercato globale ha giocato la propria immagine: a partire da quel “made in EU” che sostituì il “made in Italy” nelle sue etichette, e che tanto scandalo fece all’epoca. Quell’etichettatura stava a significare la vocazione non provinciale di una iniziativa imprenditoriale che intuì presto il vantaggio competitivo di essere glocal, un vantaggio poi colto a piene mani e che si rivelò in grado di generare per anni e anni rilevanti profitti e una straordinaria liquidità.
 
Profitti e liquidità che andavano in qualche modo collocati, e da lì iniziò una strisciante scissione tra i Benetton e il loro business, con investimenti che portarono a importanti perdite (l’avventura nelle attrezzature e abbigliamento sportivo), poi sostituiti da un interesse a mio parere eccessivo nelle utilities (dalle autostrade alla ristorazione, da Telecom ad Alitalia), via via diversificando.
 
Tali strategie davano per scontato che il business principale avrebbe continuato a godere ottima salute. L’essere il primo grande gruppo globale nell’abbigliamento informale sembrava fornire certezza in una espansione continua. Non fu così: errori in più di qualche collezione, appesantimento dei costi dovuti a una organizzazione che da snella si era appesantita, l’emergere di competitors aggressivi (Zara, e H&M) in grado di proporre nuovi stili e di catturare, con prezzi più bassi e modelli continuamente rinnovati, quelle giovani generazioni sulle quali Ponzano aveva costruito il successo, determinarono una progressiva caduta di redditività, deteriorandone l'immagine friendly.
 
È noto come le multinazionali attive nei settori tradizionali non siano molto veloci ad avvertire la gravità di una stagnazione/caduta delle vendite, spesso banalizzata come congiunturale. Così fu per i Benetton che, in altre faccende affaccendati (incombevano i problemi di Telecom, e poi di Alitalia), non percepirono immediatamente i rischi impliciti di questa disaffezione verso i marchi – invero incongruamente cresciuti di numero – del loro gruppo.
 
Da qui la svolta. Che, come le multinazionali ancora insegnano, sarà rapida e determinata. Ovvero l’acquisita percezione del rischio genererà una reazione in grado di rilanciare il business che, facendo leva su una forte contrazione dei costi, si focalizzerà sui marchi che avevano colpito l’immaginario collettivo dei giovani di mezzo mondo.
 
È una sfida interessante. Che dimostra come esista ancora in Italia un capitalismo familiare in grado di giocare sul mercato globale, senza perseguire la strada di altre grandi famiglie che hanno preferito cedere i loro “gioielli” agli stranieri, come è accaduto per gli epigoni dei Marzotto che hanno liquidato non solo la economicamente poco smagliante Valentino ma anche la più che efficiente (merito di Salzer!) Hugo Boss. Il che sta a dire che esistono ancora imprenditori che, dopo le sirene delle utilities, sanno ritornare alla concretezza del prodotto manifatturiero. È un buon segno.
 
 
 
 
  

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