Ritorno
sul post di ieri
dedicato al
caso dell’Acqua
Brillante Recoaro. Il successo commerciale di quel
prodotto nacque dal particolare mix
del territorio di un (all'epoca) rinomato centro termale e dell'implicita
allusione all'utilizzo dell'acqua minerale delle sue fonti. Produrla altrove,
rivendicandone peraltro in etichetta la "tradizione",
significa trattare il consumatore come un minus
habens cui si può rifilare di tutto. Ed è per di più un non sense dal punto di vista
aziendalistico, dato che impoverisce un marchio (quello che fu della Recoaro
S.p.A.) – già abbondantemente penalizzato dalla Sanpellegrino – senza che
questa ne ricavi un vantaggio in termini di costo di produzione. Posto che la
confezione "storica" di tale bevanda era in vetro, l'unica
spiegazione razionale mi appare è che, avendo deciso di riproporre la bevanda
in lattine di alluminio, e avendo bisogno di approntare un apposito impianto di
imbottigliamento, Sanpellegrino abbia valutato che questo sarebbe stato più
razionalmente impiegato anche per altri prodotti in un stabilimento di grandi
dimensioni (S. Giorgio in Bosco) piuttosto che in quello più piccolo di Recoaro
Terme.
E vengo allo stabilimento padovano,
dove viene imbottigliata l’Acqua Vera, marchio da “primo prezzo” rilevato da
Nestlé-San Pellegrino nel 2005. È presumibile che per produrre l’Acqua Brillante Recoaro
venga utilizzata l’acqua minerale Vera che – assicura la pagina http://www.sanpellegrino-corporate.it/nestle-vera/Prodotti/QualitaGarantita/index.html – «sgorga pura e cristallina dalle sorgenti di San Giorgio in Bosco». Dove
l’accento è posto proprio sullo “sgorgare”…
Peccato
che a S. Giorgio in Bosco non esistano risorgive, e che l’acqua che alimenta le
linee di imbottigliamento di Acqua Vera sia ricavata per emungimento forzato
della falda che si trova a -200/-400 metri rispetto il piano-campagna. Che dire,
se non che anche in questo caso si prende in giro lo sprovveduto consumatore? Tanto,
ciò che conta è il “primo prezzo” con cui tale acqua viene commercializzata!
Ma i miei rilievi alla Nestlé-Sanpellegrino non si fermano qui. Perché c’è di mezzo un’altra bevanda di successo della ex-Recoaro S.p.A. mortificata dall’azienda che l’acquisì.
Ma i miei rilievi alla Nestlé-Sanpellegrino non si fermano qui. Perché c’è di mezzo un’altra bevanda di successo della ex-Recoaro S.p.A. mortificata dall’azienda che l’acquisì.
Si tratta del Chinotto Recoaro, negli anni Cinquanta e Sessanta il più diffuso, è anch'esso emblematico. San Pellegrino aveva infatti un prodotto analogo (Chinò, poi diffuso anche come Chinotto), che non riusciva ad affermarsi proprio a causa della bevanda recoarese. Ne derivò, al momento dell'acquisizione della Recoaro, la scelta di Sanpellegrino di valorizzare il proprio prodotto abbassando il sostegno pubblicitario di quello recoarese. Scelta insipiente, perché il Chinotto Sanpellegrino non riuscì mai ad eguagliare i volumi precedentemente raggiunti da quello altovicentino. Il quale, tuttavia, sopravvisse, ancorché ridotto ai minimi termini. Finché poco meno di due anni fa se ne annunciò, dopo esserne stata delocalizzata la produzione in altro (lontano) stabilimento della multinazionale, il ritorno a Recoaro (http://www.ilgiornaledivicenza.it/stories/1728_news/343437_il_chinotto_torna_a_recoaro_e_perlotto_pensa_vintage/). Ma non mi pare che a quell'annuncio siano seguite
particolari campagne promozionali, per cui è probabile che quel revival
finisca presto nell’oblio del consumatore.
Due domande conclusive:
a) ma se per Nestlé-Sanpellegrino un’acqua vale l’altra, che senso
ha il suo vasto portafoglio-marchi?
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