domenica 26 gennaio 2014

Nestlé, acque minerali e... (puntata n. 2)

Ritorno sul post di ieri  dedicato al caso dell’Acqua Brillante Recoaro. Il successo commerciale di quel prodotto nacque dal particolare mix del territorio di un (all'epoca) rinomato centro termale e dell'implicita allusione all'utilizzo dell'acqua minerale delle sue fonti. Produrla altrove, rivendicandone peraltro in etichetta la "tradizione", significa trattare il consumatore come un minus habens cui si può rifilare di tutto. Ed è per di più un non sense dal punto di vista aziendalistico, dato che impoverisce un marchio (quello che fu della Recoaro S.p.A.) – già abbondantemente penalizzato dalla Sanpellegrino – senza che questa ne ricavi un vantaggio in termini di costo di produzione. Posto che la confezione "storica" di tale bevanda era in vetro, l'unica spiegazione razionale mi appare è che, avendo deciso di riproporre la bevanda in lattine di alluminio, e avendo bisogno di approntare un apposito impianto di imbottigliamento, Sanpellegrino abbia valutato che questo sarebbe stato più razionalmente impiegato anche per altri prodotti in un stabilimento di grandi dimensioni (S. Giorgio in Bosco) piuttosto che in quello più piccolo di Recoaro Terme.      

E vengo allo stabilimento padovano, dove viene imbottigliata l’Acqua Vera, marchio da “primo prezzo” rilevato da Nestlé-San Pellegrino nel 2005. È presumibile che per produrre l’Acqua Brillante Recoaro venga utilizzata l’acqua minerale Vera che – assicura la pagina http://www.sanpellegrino-corporate.it/nestle-vera/Prodotti/QualitaGarantita/index.html – «sgorga pura e cristallina dalle sorgenti di San Giorgio in Bosco». Dove l’accento è posto proprio sullo “sgorgare”…
Peccato che a S. Giorgio in Bosco non esistano risorgive, e che l’acqua che alimenta le linee di imbottigliamento di Acqua Vera sia ricavata per emungimento forzato della falda che si trova a -200/-400 metri rispetto il piano-campagna. Che dire, se non che anche in questo caso si prende in giro lo sprovveduto consumatore? Tanto, ciò che conta è il “primo prezzo” con cui tale acqua viene commercializzata!
Ma i miei rilievi alla Nestlé-Sanpellegrino non si fermano qui. Perché c’è di mezzo un’altra bevanda di successo della ex-Recoaro S.p.A. mortificata dall’azienda che l’acquisì.
Si tratta del Chinotto Recoaro, negli anni Cinquanta e Sessanta il più diffuso, è anch'esso emblematico. San Pellegrino aveva infatti un prodotto analogo (Chinò, poi diffuso anche come Chinotto), che non riusciva ad affermarsi proprio a causa della bevanda recoarese. Ne derivò, al momento dell'acquisizione della Recoaro, la scelta di Sanpellegrino di valorizzare il proprio prodotto abbassando il sostegno pubblicitario di quello recoarese. Scelta insipiente, perché il Chinotto Sanpellegrino non riuscì mai ad eguagliare i volumi precedentemente raggiunti da quello altovicentino. Il quale, tuttavia, sopravvisse, ancorché ridotto ai minimi termini. Finché poco meno di due anni fa se ne annunciò, dopo esserne stata delocalizzata la produzione in altro (lontano) stabilimento della multinazionale, il ritorno a Recoaro (http://www.ilgiornaledivicenza.it/stories/1728_news/343437_il_chinotto_torna_a_recoaro_e_perlotto_pensa_vintage/). Ma non mi pare che a quell'annuncio siano seguite particolari campagne promozionali, per cui è probabile che quel revival finisca presto nell’oblio del consumatore.

Due domande conclusive:
a) ma se per Nestlé-Sanpellegrino un’acqua vale l’altra, che senso ha il suo vasto portafoglio-marchi?
b) e quale è la logica che ha portato a marginalizzare, tra i molti marchi posseduti, proprio uno dei marchi più antichi e prestigiosi, ovvero quello recoarese?