Scrissi poco dopo aver avviato il Blog che quest'anno mi sarei occupato della Paolini-Villani & C., una
storica impresa alimentare di Venezia-Marghera cessata nei primi anni '90 del
secolo scorso.
Si tratta di un progetto editoriale che coinvolge, oltre a me, quattro
studiosi di cose veneziane e mestrine, tra i quali un esperto di
comunicazione pubblicitaria, Massimo Orlandini. Il cui saggio sarà, invero, il
pezzo forte del volume cui mira la ricerca, stante che la ditta di cui qui si
tratta fece fin dai primissimi anni del '900 un uso intenso della pubblicità, o
– meglio – della réclame,
come all'epoca si diceva. E non poteva essere altrimenti, trattandosi di
prodotti di largo consumo, e di basso prezzo unitario, che – non
differenziandosi più di tanto dalla concorrenza – abbisognavano di un insistente
sostegno pubblicitario in grado di convincere la massaia a preferirli.
La ditta origina dall’intraprendenza di
Alessandro Zoppolato, la
cui madre Rosa Lantzmann gestiva una avviata drogheria in campo S. Felice a
Venezia. Egli si munì nel 1889 di un macinino meccanico, grazie al quale iniziò
a proporre in negozio una assoluta novità: spezie e droghe miscelate secondo
ricette che incontrarono il favore della clientela. Quel primo esito lo portò
presto a estendere il giro d’affari, rifornendo drogherie terze sia in città
che al Lido, approdando anche in terraferma. Da lì alla costituzione di una
specifica ditta il passo fu breve; essendo tuttavia ancora minorenne, e non
potendo quindi agire in commercio per proprio conto, il cognato Luigi Paolini – che
della drogheria teneva la contabilità – registrò per lui nel 1891 alla Camera di
Commercio la ditta Paolini, che nel 1895 divenne Paolini e Villani grazie all’ingresso come socio di capitali di un anziano
mercante milanese che, acquisendo una quota del 50%, favorì l'abbrivio della piccola impresa. Questa, nel 1905, spostò la sua officina di produzione a
S. Marcuola, in locali più ampi: ormai l’attività era uscita dall’ambito locale,
e si estendeva in crescenti aree della pianura padana grazie all’impegno di alcuni
commessi viaggiatori che, battendo a tappeto le drogherie dell’Alta Italia,
erano riusciti in poco tempo a creare una rete commerciale che arrivava fino a
Torino e al resto Piemonte. Al cui rafforzamento concorse successivamente un
venditore più bravo di altri, tal Antonio Bertolini, che nel 1927 si mise in proprio dando vita a
un marchio ancor oggi attivo nella stessa tipologia merceologica dei preparati
per cucina, se pure in mano a una multinazionale straniera.
Contemporaneamente, e in modo simile a quanto accadde ad altre ditte del settore, l'azienda mestrina affiancò alla macinazione e alla mescolatura delle droghe la produzione, a marchio Sterminio, di insetticidi per la disinfestazione di ambienti domestici e di lavoro (ad es. le stalle), o ad uso individuale. In questo caso si trattava di soffietti contenenti polvere di piretro, per i quali poi durante il primo conflitto mondiale ottenne qualche commessa da parte del nostro esercito. Il dopoguerra coincise con l'avvio di una ulteriore diversificazione, questa volta non produttiva, bensì commerciale, e ciò grazie all'assunzione della distribuzione per il Veneto e la riviera adriatica di un prodotto inglese di pregio, il tè Lipton. Una scelta rafforzata dall'accordo stretto nel 1927, grazie al quale la licenza esclusiva di commercializzazione venne estesa a tutto il paese. Questa variante mercantile determinò l'espansione dell'attività aziendale, stante che la licenza affidava alla Paolini-Villani, per economia di costo, anche il confezionamento del prodotto: che avveniva in scatole di latta (le bustine arrivarono negli anni Cinquanta) a partire dal tè che giungeva dall'Inghilterra in sacchi di iuta. Il vantaggio per la ditta mestrina non fu rappresentato solo dall'incremento di ricavi e profitti, ma anche dal fatto che il tè inglese divenne il canale per raggiungere clientela nuova, cui era poi facile proporre i propri prodotti. Il portafoglio dei quali andò arricchendosi di altri preparati e/o surrogati, tra i quali assunse presto rilievo il Budino dei Dogi (1927 ca.). La rete di vendita si era ormai estesa a tutto il paese, e giocava da un lato sull'agente o sul commesso viaggiatore che andava a proporre al singolo dettagliante i prodotti della ditta, e dall'altro sul riassortimento che il cliente attivava autonomamente via posta.
Gli anni Trenta furono segnati dalla scomparsa di Alessandro Zoppolato (1933), che comportò il passaggio alla Presidenza di Ovidio Palma nonché l'assunzione di responsabilità aziendali da parte sia del figlio di costui, Egidio, che del figlio del fondatore, Gino Zoppolato, già comunque da tempo attivi nella gestione ordinaria. Ma il decennio vide anche la messa a punto di un prodotto, Ovocrema (1936), che fu poi a lungo, anche nel dopoguerra, prodotto di punta della ditta, rendendola affermato competitor nazionale del comparto. Lo slancio di quel decennio venne frustrato nel marzo del 1941, quando lo stabilimento venne distrutto da uno dei tanti bombardamenti che durante il secondo conflitto mondiale si abbatterono sullo strategico snodo ferroviario di Mestre. La produzione venne trasferita provvisoriamente a Zero Branco, presso Villa Guidini, che rimase sede operativa della Paolini-Villani fino al 1950, quando un incendio la colpì gravemente. Essa riuscì comunque a ripartire in un lasso di tempo abbastanza breve, recuperando parte dell'opificio mestrino e avviando contatti per reperire un insediamento di maggiori dimensioni. Che fu individuato nell'ex Cotonificio Veneziano di via F.lli Bandiera a Porto Marghera, dove – nel 1953 – fu trasferita la quasi totalità delle linee produttive. Nel frattempo erano entrati in azienda anche altri figli dei due soci, in particolare Piero Zoppolato che assunse la responsabilità, invero strategica, del settore commerciale, mentre il padre Gino si occupava del settore finanziario, e della pubblicità: campi invero tra loro molto diversi, ma che egli seppe gestire con singolare efficacia.
Ai prodotti di punta rappresentati da The Lipton e da Ovocrema se ne affiancarono presto altri, assicurando alla ditta crescente successo e notorietà: tra questi Fast, un preparato per cioccolato in tazza (1961) che riscosse una discreta accoglienza per la immediatezza della sua preparazione. Ma era Ovocrema a identificare la casa veneziana. Con una produzione giornaliera di circa 25mila bustine, questo preparato che assicurava di poter preparare torte, focacce, ciambelle e pasticceria in genere senza bisogno di uova, era sostenuto da una campagna pubblicitaria capillare nei giornali femminili più diffusi, ma anche in un numero incredibile di piccole testate locali che veicolavano il messaggio della "affidabilità" e della "concretezza" del prodotto. Un prodotto friendly, che regalava ricettari e istruzioni per l'uso, nonché una raccolta punti che, al pari di case di ben altre dimensioni e forza economica, proponeva regali che fidelizzavano la clientela.
Il sostegno pubblicitario non si limitò, tuttavia, alla carta stampata ma si estese – caso del tutto anomalo date le piccole dimensioni dell'azienda, e gli elevati costi di tale strumento – al mezzo televisivo, ovvero agli spazi che la RAI aveva messo a disposizione degli inserzionisti all'interno di "Carosello". Furono cinque gli spot che vennero approntati nel giro di alcuni anni dalla Paolini-Villani per un numero di "passaggi" al momento ignoto. Ne ho ritrovato uno in youtube, che pubblicizzava sia il tè Lipton che Ovocrema, e ad esso rinvio per dar conto dell'attività di comunicazione della casa veneziana:
Finiva così la storia della Paolini-Villani, ma per la Barbieri non andò meglio: essa fu di lì a poco oggetto di una acquisizione ostile da parte della irlandese Cantrell
& Cochrane, che comprò la maggioranza del suo pacco azionario dai soci non gestori, costringendo il socio che la gestiva, parente dei primi, alla resa. La C&C, questa la denominazione poi assunta dalla multinazionale, mirava a impadronirsi della rete distributiva del brand Aperol, diffusa in tutto il paese, per aggredire più rapidamente il mercato italiano con i suoi prodotti ad alta gradazione. La focalizzazione del suo business, tutta mirata al beverage, la portò a chiudere la divisione alimentare di Marghera, chè tale era divenuta l'azienda veneziana per la Barbieri, trasferendo altresì la produzione di quest'ultima in Piemonte, presso la Barbero 1891 S.p.A. di Canale d'Alba, suo braccio operativo. Per la cronaca, la Barbero 1891 è stata successivamente acquisita (dicembre 2003) dal Gruppo Campari, che con un brand di successo quale l'Aperol ha ancor più qualificato il suo già ampio portafoglio-prodotti.
Di questa ricerca di storia d'impresa: la ricerca, che si basa su una solida base documentaria raccolta negli archivi pubblici, in primis quelli della Camera di Commercio della provincia di Venezia e del Comune capoluogo, vede la fattiva collaborazione di Alvise Zoppolato: che ha fornito ai ricercatori le sopravvissute carte dell'azienda di famiglia, arricchendole con la propria testimonianza. L'obiettivo dei ricercatori (Silvana Alessandrini, Massimo Orlandini, Giampaolo Rallo, Giorgio Sarto e chi scrive) va tuttavia oltre la semplice ricostruzione della storia aziendale: essa, infatti, verrà vista all'interno di quel vero e proprio "polo alimentare che tra fine Ottocento e prima metà del Novecento andò formandosi tra Venezia capoluogo, Mestre e Marghera. Ed è un po' questo il contributo che, con il loro lavoro, gli autori intendono offrire alla partecipazione di Venezia all'EXPO MILANO 2015.
le immagini sono degli anni Trenta del '900,
come attesta la sigla S.A. (Società Anonima) della denominazione sociale
Carosello Ovocrema - metà anni '60
Nel 1963 i Palma uscirono dalla compagine azionaria della Paolini, che rimase quindi in capo alla sola famiglia Zoppolato, la quale andò sviluppando altre attività imprenditoriali, in parte contigue o complementari al business principale, e delle quali questa ricerca tenterà di dare ugualmente conto. La Paolini-Villani continuò a macinare risultati positivi, raggiungendo nel 1978 il maggior fatturato di sempre (6
mld di lire, equivalenti a ca. 20 mln € attualizzati), cui concorrevano in modo determinante gli oltre 200 mln di bustine di the Lipton e i ca. 4 mln di confezioni Fast e Ovocrema prodotte e vendute in quell'anno. La crisi, tuttavia, era imminente: l'anno dopo la società proprietaria del marchio Lipton venne acquisita dalla multinazionale anglo-olandese Unilever, la quale rescisse unilateralmente l'accordo che aveva consentito alla ditta lagunare di rendere Lipton il terzo marchio italiano per diffusione, a ridosso di due prodotti di massa quali il the della Star e il Tè Ati. Ciò causò non pochi problemi, sia dal punto di
vista finanziario che commerciale, con una caduta verticale del fatturato che l'acquisizione della licenza di un altro marchio fu inefficace a contrastare. Gino Zoppolato decise di lasciare l'azienda, ritenendo nulla una sua possibilità di ripresa. Nel febbraio 1983 il capitale sociale venne azzerato per le perdite cumulate, e reintegrato ad opera del figlio Piero, che invece credeva ancora nel modello di business fino ad allora perseguito. E a ragione, dato che tra il 1984 e il 1986 la Paolini recuperò un qualche slancio, conseguendo un ancorché risicato attivo di bilancio. La collaborazione con la Pompadour Tè, filiale italiana della tedesca Teekanne, e altre ditte, porta al raggiungimento di un buon equilibrio che si rafforzò ulteriormente con
l'acquisizione dell'esclusiva per l'Italia dell'irlandese Lyons Tea. Il ridimensionamento, comunque, si sentiva tutto, e così quando agli inizi del 1987 la F.lli Barbieri S.p.A. di Padova – attiva nella produzione liquoristica (suo l'Aperol, uno tra i più diffusi aperitivi a livello nazionale), e convinta che entrare nel settore dei preparati alimentari sarebbe stata una profittevole diversificazione – presentò una offerta d'acquisto, i Zoppolato decisero di aderirvi, e quindi di vendere. Il figlio di Piero, Alvise, rimase comunque in azienda come responsabile della produzione e degli acquisti. La Barbieri non riuscì tuttavia a far fruttare le competenze che la Paolini-Villani ancora poteva esprimere e, con non poca miopia, di lì a poco – nel novembre 1989 – la incorporò, con il risultato che, pur di contrarne i costi amministrativi, di fatto rinunciò al valore immateriale che essa poteva ancora esprimere.