Questo post nasce da una conversazione, alcuni mesi or sono, con due
componenti la famiglia imprenditoriale che controlla una piccola catena
di Supermercati, la Cadoro S.p.A. di Quarto d'Altino (Venezia), i quali mi parlarono
dell'intenzione di ricordare i cinquant'anni di vita della loro organizzazione
di vendita inquadrandola nel contesto regionale (il Veneto) dove principalmente
essa opera, e in quello più generale della GDO.
Una intenzione che mi apparve subito di
interesse, perché – rigettando
l'ipotesi di effimere celebrazioni giubilari – si
proponeva di mettere in luce il ruolo che la nascita di razionali
organizzazioni di distribuzione dei beni alimentari ha avuto non solo nella modernizzazione
del nostro paese, ma anche nel cambiamento dei modi di acquistare/consumare i beni alimentari.
Occupandomi per mestiere di storia d'impresa,
rimasi favorevolmente colpito dall'idea che due giovani imprenditori, coinvolti
oggi dal padre nel passaggio generazionale, si ponessero il tema della
storicizzazione della attività di famiglia, vista non tanto dal punto di vista
del successo economico, quando del contributo fornito alla comunità
territoriale cui quella esperienza appartiene.
Poiché sul tema esiste ancora
una scarsa letteratura, per di più rivolta ai soli addetti ai lavori, provo a sviluppare
alcune considerazioni, tenendo anche a mente che il tema dell'alimentazione,
oggetto di EXPO MILANO 2015, si intreccia per forza di cose con la
differenziata efficienza/correttezza delle variegate filiere di operatori che
ruotano attorno ad essa.
La piccola catena veneta origina, nel 1964,
dalla macelleria-gastronomia che Cesare Bovolato aveva aperto pochi anni prima
a Mestre, la frazione veneziana di terraferma che andava all'epoca conoscendo
una forte crescita demografica indotta dallo spostamento di parte della popolazione
della città lagunare.
La nascita di Cadoro è in sostanza parte del nuovo modo di concepire
la distribuzione alimentare sviluppatosi in Italia grazie all'iniziativa di
Nelson Rockfeller, uomo d'affari e politico statunitense, che nel 1957 aveva
dato vita – con alcuni
soci italiani, tra cui la famiglia degli industriali cotonieri Caprotti – alla
Supermarkets Italiani S.p.A. Fu una combine da cui Rockfeller uscì tuttavia
presto, cedendo proprio ai Caprotti la sua quota del 51%.
Nel 1965, con l'assunzione
della sua guida da parte di Bernardo Caprotti e il più o meno contemporaneo
abbandono dei restanti soci italiani, la catena – più
tardi ribattezzata Esselunga dalla "esse" allungata disegnata per
l'insegna dei punti vendita dall'affermato designer svizzero Max Huber – era
costituita da 15 supermercati, Fu in questo contesto che la macelleria-gastronomia mestrina dei Bovolato cominciò ad estendere il giro d’affari grazie all’apertura di altri punti vendita, così partecipando all’avventura della moderna distribuzione alimentare in un paese appena investito dal cd. miracolo economico che andava trasformando il paese in una economia compiutamente industriale. Solo che l’obiettivo di questa iniziativa imprenditoriale, contrariamente ai Caprotti che miravano a un insediamento a vasto raggio, apparve subito legata all’ambito veneto. Con ciò dando vita a un originale rapporto con il territorio. È noto come una impresa – ogni impresa – sia legata, soprattutto nel nostro paese, sia naturalmente legata al territorio nel quale essa nasce. E poiché Cadoro nasceva in Veneto, il contesto in cui essa andò crescendo fu quello di una regione divenuta di fatto una sorta di area-cerniera tra un Nordovest a maggior sviluppo relativo e un Sud miserabile. Un Veneto in cui dovevano convivere a lungo sia gli elementi della modernità (il polo industriale di Porto Marghera ad alta intensità di capitale, ma anche gli antichi centri lanieri dell’Alto vicentino), sia l’arretratezza e la marginalità del rodigino e del bellunese.
Sarà interessante, se i propositi dei
giovani Bovolato troveranno sbocco in qualche studio dall’azienda commissionato,
capire le modalità da questa seguite nella propria crescita, il vantaggio
competitivo di alcuni insediamenti (oggi sono venticinque, la maggior parte in
Veneto, con alcune propaggini in Emilia-Romagna e in Friuli), nonché i vari
momenti innovativi di cui essa è stata protagonista: anche quelli
apparentemente banali, come ad es. l’introduzione del latte fresco che Cadoro realizzò prima di altre catene, o
quelli di “governance” con l’affidamento da parte del fondatore di deleghe di
peso ai figli, cosa – ahimè – ancora non usuale nelle imprese a controllo familiare.
Personalmente mi incuriosisce – stanti le limitate dimensioni del
gruppo, peraltro qualche anno fa appetito da una catena spagnola (Mercadona
S.A., quasi 1.500 punti vendita) che intendeva acquisirla per testare le
possibilità di uno "sbarco" in Italia –
la scelta, invero strategica per il consolidamento del marchio, di affiancare
una propria private label a quella
del gruppo d’acquisto cui l’azienda aderisce. Anche in questa politica si scorge
l’originalità del caso di studio qui a grandi tratti descritto.
È comunque l’intero settore
della GDO che è opportuno sia oggetto di indagine storiografica, se non altro per
il ruolo che essa ha assunto – dopo una prima stagione di massificazione/standardizzazione dell’offerta
– nell’affinamento
di più consapevoli stili di consumo individuali e collettivi, e quindi nella
proposta di prodotti qualitativamente migliori, di cui proprio la private label è stata non poche volte (e lo sarà ancor di più in futuro) canale privilegiato, nonché elemento di differenziazione e di marketing.